Molto più che una percezione, è l’amara realtà, gli stipendi non aumentano solo in Italia.
Secondo Il Fatto Quotidiano le buste paga sono in aumento in tutti i Paesi dell’OCSE, ma l’Italia come al solito fa eccezione.
Nel nostro Paese gli stipendi valgono meno di 30 anni fa e il loro valore reale è sceso maggiormente negli ultimi anni.
Nel secondo trimestre 2023, il reddito reale che tiene conto dell’inflazione delle famiglie nei Paesi OCSE, è aumentato per il quarto trimestre consecutivo dello 0,5%. In Italia invece succede esattamente il contrario, perché il potere di acquisto delle buste paga si è contratto di un altro 0,3%.
Se osserviamo il PIL reale, la situazione non è affatto rosea, si parla infatti di un calo dello 0,3% per abitante.
La situazione nelle maggiori economie europee ed Extra UE
Se in Germania i redditi familiari sono saliti dello 0,5% e in Francia dello 0,1%, in Gran Bretagna l’aumento si attesta allo 0,9% mentre negli USA allo 0,5%.
Le impietose rilevazioni nel nostro Paese mettono in luce la progressiva perdita di potere d’acquisto delle famiglie italiane. Queste rilevazioni si accumulano sulle scrivanie di Governo e Confindustria, come sostiene il Fatto Quotidiano, i contratti si rinnovano al ribasso e con una inesorabile lentezza.
Il tanto amato quanto ostracizzato reddito di cittadinanza è stato capace di favorire uno stop al ribasso per le retribuzioni, così come il salario minimo, misura che possiamo continuare a bramare considerato che in Italia ancora non è stata stabilita per legge e per la quale di recente il Governo Meloni ha ribadito la sua contrarietà.
Un salario minimo di 9 euro lordi l’ora, come ha da poco precisato la giornalista Milena Gabanelli, significa circa 1200 euro netti al mese, una cifra che permette lo stretto necessario per vivere una vita dignitosa, ma purtroppo gli stipendi non aumentano solo in Italia.
Dobbiamo essere consapevoli del fatto che 3 milioni di lavoratori italiani sono ancora sotto questa soglia. Il CNEL ha sostenuto che la questione andrebbe regolata fra le organizzazioni, le associazioni di impresa e i sindacati, e inoltre che il salario minimo non serve, perché la contrattazione collettiva è di per sé forte. Secondo il CNEL le intese firmate da CGIL, CISL e UIL coprono già il 95% dei contratti.
Ma per avere la giusta percezione di quanto sta accadendo è utile il report di Mediobanca che sottolinea la perdita del nostro potere d’acquisto di oltre il 20%.
Le famiglie spendono di più ma comprano meno
Le famiglie spendono di più a causa dell’aumento dei prezzi ma comprano sempre meno perché la quantità di denaro a propria disposizione è sempre la stessa o addirittura minore.
Se le imprese possono rifarsi aumentando i propri listini, non si può dire lo stesso dei consumatori, intrappolati in un limbo dal quale è difficile districarsi.
La BCE ha deciso per l’aumento dei tassi dei prestiti, dei mutui variabili e il costo dei mutui di nuova sottoscrizione, mentre i costi dell’energia ai massimi storici sono la ciliegina velenosa sopra questa già amara torta.
Il Fatto Quotidiano ci ricorda come la BCE si sia anch’essa resa conto di questo trend, in cui l’inflazione è stata spinta da prezzi ben superiori a quelli dei costi.
In altre parole un’impresa potrebbe coprire i costi e addirittura arricchirsi facendo leva sul generale aumento dei prezzi e sull’aumento dei listini. Il che genererebbe maggiori profitti che potrebbero e dovrebbero giovare in qualche modo alle retribuzioni, ovvero ciò che sta accadendo in gran parte del mondo.
Gli stipendi non aumentano solo in Italia e come spesso accade la classe dirigente del Paese, vuoi per indolenza o procrastinazione resta a guardare.