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C’era una volta il divieto di bikini

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Foto AI

Il divieto di Bikini era una delle misure per preservare il pudore e il decoro. Nell’Italia degli anni 50 infatti, un’estate al mare poteva rivelarsi sorprendentemente costosa per chi avesse deciso di indossare il bikini

Il costume a due pezzi era considerato troppo audace e scandaloso, e le autorità italiane non esitarono a intervenire per mantenere il decoro sulle spiagge, arrivando persino a multare le donne che osavano sfoggiare il provocante indumento.

Divieto di Bikini sulle spiagge italiane: veniva considerato una minaccia al pudore

Il bikini, venne inventato nel 1946 dal sarto francese Louis Réard, anche se pare avere radici ancor più remote. Questo indumento rappresentava una rivoluzione nel mondo della moda e un simbolo di liberazione femminile. 

Tuttavia, in Italia, Paese profondamente radicato nelle sue tradizioni cattoliche e conservatrici, l’accettazione del nuovo costume fu tutt’altro che immediata. 

Il bikini veniva visto come una minaccia alla moralità pubblica, capace di offendere il comune senso del pudore. Nel contesto sociale degli anni ’50  la morale e il costume erano regolati da rigidi codici di comportamento. Le donne che decidevano di indossare il bikini rischiavano di incorrere in sanzioni pecuniarie o, in alcuni casi, di essere allontanate dalle spiagge come delle criminali.

Le riviste italiane dell’epoca sembravano non voler stare al passo coi tempi e continuavano a proporre costumi interi e gonnellini completi o con scollature all’americana. 

Le forze dell’ordine iniziarono a pattugliare le spiagge

Il bikini era talmente oltraggioso da costringere l’allora Ministro degli Interni Mario Scelba della DC ad organizzare una crociata, sguinzagliando la polizia per le spiagge con tanto di metro da sarto, per misurare l’altezza della mutandina che doveva essere regolare e non bikini! In quel momento scattava ufficialmente il divieto di bikini.

Cosicché le forze dell’ordine iniziarono a pattugliare le coste italiane, pronti a intervenire nei confronti di chi si fosse azzardata a sfidare le convenzioni dell’epoca. Gli agenti spesso chiedevano alle donne di coprirsi con un telo o di cambiare costume, pena una multa che poteva arrivare fino a diverse migliaia di lire, una somma non indifferente per l’epoca.

Ma nonostante queste restrizioni, il bikini continuava a guadagnare popolarità. Celebrità come Brigitte Bardot e Sophia Loren, Gina Lollobrigida e ancora Sylva Koscina e Silvana Pampanini con il loro charme e la loro audacia, contribuirono a sdoganare il capo d’abbigliamento considerato scandaloso, rendendolo sinonimo di glamour e libertà

La Bardot, in particolare, con la sua partecipazione al film E Dio creò la donna del 1956, rese il bikini un’icona di sensualità e indipendenza femminile, ispirando molte donne a sfidare le convenzioni e ad abbracciare questo nuovo simbolo di emancipazione.

La società italiana si trovava così divisa tra l’intransigenza delle istituzioni e il desiderio crescente di libertà delle nuove generazioni

Le proteste e le critiche contro le restrizioni aumentarono, alimentando un dibattito acceso tra conservatori e progressisti. Gradualmente, la pressione sociale e l’evoluzione dei costumi portarono a un allentamento delle regole

Fu cosi che negli anni ’60, il bikini iniziò a essere accettato più ampiamente, e ciò portò un cambiamento significativo nella percezione della femminilità e del corpo delle donne.

Il bikini, da simbolo di scandalo, divenne emblema di una nuova era di emancipazione e modernità. 

E’ vero che le multe e le restrizioni degli anni ’50 possano apparire oggi come un ricordo lontano, testimonianza di un’epoca in cui la battaglia per l’autodeterminazione femminile si combatteva anche sulla sabbia delle spiagge italiane. Oggi invece il divieto in alcuni Comuni costieri prevede che non si possa circolare al di fuori della spiagge con indosso il costume da bagno, alla base c’è sempre la questione decoro.